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Redazione

AGUAHOJA: TRA NATURA E DIGITALE.

Aggiornamento: 20 mag

By Michela De Candia, Loris Moffa, Roberta Rapisarda, Tian Mei

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Coniugando ingegneria dei materiali, design e biologia Neri Oxman ha brevettato un biopolimero in grado di degradarsi in modo programmato. Si prospetta così un nuovo processo di smaltimento favorevole al nostro ecosistema.


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courtesy Matthew Millman


Dalla natura al design: il futuro che unisce il coltivato e il costruito

Così come la plastica degli oggetti comunemente utilizzati provoca numerosi danni ambientali, l’industria edilizia non ne è da meno; secondo i dati riportati dalla Global Alliance for Buildings and Cnstruction nel 2021 infatti produce il 37% dell’inquinamento globale. Un esempio di ciò è riscontrabile specialmente nell’ambito delle istallazioni temporanee, come nel caso degli eventi fieristici riguardanti il settore del design, ove il materiale impiegato nella realizzazione dei padiglioni non sempre viene recuperato.

  

In accordo con le recenti statistiche dell’UNEP,  il Programma Ambientale delle Nazioni Unite, nell’ultimo anno è stata registrata una produzione di circa 430 milioni di tonnellate di plastica nel mondo; di queste, meno del 10% viene reimpiegato per nuovi scopi ed utilizzi, incrementando così lo stato d’inquinamento del nostro pianeta.

 

In un contesto così critico dal punto di vista ambientale, prende corpo l’intuizione della designer e architetta americo-israeliana Neri Oxman che, con il suo team Mediated Matter Group, ha dato vita al progetto Aguahoja: un complesso di tre padiglioni costituiti da materia organica a base d’acqua e aventi una durata programmabile nel tempo. La peculiarità di questi padiglioni-torre organici è data dalla capacità di decomporsi a contatto con gli organismi dell’ambiente esterno, trasferendo loro energia e alimentandone la crescita.

 

La mission scelta dal team di ricerca guidato da Oxman pone le sue basi su un approccio sostenibile per un cambiamento radicale, mettendo in relazione l’elemento naturale con l’artificio umano. Così afferma Oxman in un’intervista rilasciata nel 2020: 

[...] rivisitare del tutto ciò che significa fare architettura. Con un approccio che consideri l'ambiente come il cliente principale e il committente come chi dà l’opportunità di agire.

Ciò comporta la costruzione di un nuovo metodo che sia meno interessato agli oggetti e più ai sistemi: tecnologici, organizzativi, sociali.[...]”.


Nello specifico le biostrutture di Oxman sono realizzate con uno scheletro portante a forma di ovale in fotopolimero sintetico, rivestito da “pelle organica” ottenuta durante la sperimentazione materica di alcuni dei maggiori polisaccaridi presenti in natura: chitosano, cellulosa e pectina.

Il primo rappresenta una componente essenziale sia nell’esoscheletro dei crostacei, che nelle leggere e trasparenti ali delle libellule. Il secondo si trova nelle pareti cellulari delle piante, mentre l’ultimo è un addensante naturale estratto dal bianco degli agrumi, e dalle bucce di alcuni frutti maturi come le mele. 

Il chitosano, la cellulosa, e la pectina, combinati a temperatura ambiente con una soluzione di idrogel, senza l’utilizzo di additivi artificiali, vengono inseriti all’interno della stampante 3D composta da un braccio meccanico controllato roboticamente e un sistema di estrusione multicamera che genera una base layer costituita da pectina e chitosano e un pattern superficiale composto da chitosano e cellulosa. 

Il pannello organico così ottenuto subisce dei processi di variabilità cromatica rispondendo

alle condizioni ambientali alle quali è sottoposto, come ad esempio il calore e l’umidità.

Ad alimentare la differenziazione delle specifiche tecniche entrano in gioco anche

la geometria e lo spessore della trama impressa digitalmente, la velocità, la direzione con

le quali si muove il braccio robotico, e la pressione con cui fuoriesce il getto della miscela biopolimerica dalla stampante.


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courtesy Neri Oxman e Mediated Matter Lab


Neri Oxman e il suo team, per attribuire una denominazione ufficiale al progetto completo, si sono ispirati al primo esemplare di padiglione prodotto, Aguahoja I, alla sua composizione e alla sua forma, che allude a quella di una foglia secca. La torre materica, alta 5 metri, è stata realizzata attraverso un processo di produzione additiva di scarti organici modellati in acqua: 3.135 gusci di gamberetti, 6.500 bucce di mele e 5.740 foglie cadute.

Proprio dalla compresenza di questi elementi naturali ha origine l’etimologia del termine Aguahoja: dallo spagnolo “Agua” acqua e “Hoja” foglia.


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courtesy NEOPLANTS©AntoineGuilloteau


La materia diventa nutrimento per l'ambiente

Il progetto Aguahoja cerca di dare una seconda occasione agli scarti organici attribuendo loro proprietà fisiche ben definite, modellandoli secondo una funzionalità progettuale che viene successivamente esposta ad un decadimento programmato.

 

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courtesy M4 Factory


Al termine della loro creazione, il padiglione Aguahoja I e tutti i manufatti ad esso associati, sono stati allestiti per una mostra temporanea nella Hall del MIT Media Lab nel 2017.

A seguito di una donazione dell’artista, l’installazione è stata trasferita al  SFMOMA, il Museo di Arte Moderna di San Francisco, per diventare parte integrante della collezione permanente del Museo, ove tutt’ora è ubicata. 

 

Il desiderio di voler creare delle strutture che potessero evolversi quasi come fossero esseri viventi ha condotto il team capeggiato dalla dottoressa Oxman a proseguire la strada intrapresa nel mondo dei biopolimeri: seguendo la medesima impostazione attuata per il primo progetto nasce Aguahoja II, creato per l’esposizione Triennale di design del Cooper Hewitt Smithsonian Design Museum del 2019.


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courtesy M4 Factory


Aguahoja II prende le sue componenti dalla banca dati dei materiali sviluppati durante lo studio del suo predecessore, sempre ottenuti da scarti organici abbondanti sul nostro pianeta, con la differenza che il progresso della tecnica di stampa consente di effettuare costruzioni tridimensionali con gradienti di più materiali nello stesso momento, in base a una valutazione parametrica effettuata dal macchinario. La colorazione delle varie sfumature è resa possibile attraverso l’aggiunta di coloranti naturali, come il nero dell’inchiostro della seppia, il rosso scuro della barbabietola, l’arancione della curcuma e il verde dei piselli.

A differenza del processo di assemblaggio del layer e del pattern che componevano la lastra di Aguahoja I, in questo caso si ottiene un’unica superficie, la quale per poter essere rinforzata viene arricchita con la presenza di venature contenenti un’alta concentrazione di cellulosa.

 

La continuità di questa linea di ricerca si manifesta concretamente in Aguahoja III, attraverso l'ultima incarnazione del prototipo di biostruttura sviluppato nel 2022 e presentato nell'esibizione "Nature X Humanity: Oxman Architects" presso il Museo di Arte Moderna di San Francisco. Questo innovativo progetto incorpora e amplia la biblioteca dei materiali organici precedentemente concepiti: la struttura di base è realizzata con pectina e chitosano, i quali si irrigidiscono nelle regioni sottoposte ad alta trazione e si alleggeriscono nelle zone a minor carico. A questa matrice si aggiunge uno strato di venature rinforzanti di cellulosa e chitosano, stampate con una nuova tecnica anisotropica allineata alle sollecitazioni dello stress a cui il materiale è sottoposto.


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courtesy M4 Factory

Il futuro richiede cambiamento, il cambiamento determina il futuro

Per mitigare l'impatto devastante dei cambiamenti climatici su scala mondiale è necessario abbandonare i metodi di produzione che danneggiano il nostro ecosistema. La  transizione verso soluzioni sostenibili rappresenta un passo cruciale nell'adattamento alle esigenze attuali, promuovendo una costruzione e produzione responsabile in linea con l'obiettivo   di preservare l'ambiente per le generazioni future.


L’incrollabile dedizione di Neri Oxman a voler diffondere soluzioni innovative che possano essere una perfetta commistione tra natura e tecnologia anticipa un panorama in cui la produzione di dispositivi elettronici si fonda su principi sostenibili e armoniosi con l'ecosistema circostante. Difatti come esprime lei stessa “coltivare un IPhone” è il suo più grande sogno.




1 Comment


Giuseppe Missanelli
Giuseppe Missanelli
Apr 20

Bell’articolo!! Scritto bene e comprensibile anche da chi non mastica certi argomenti, complimenti!

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